mercoledì 30 marzo 2016

Quando un libro ti delude (e proprio nel finale)

Ho terminato di leggere pochi giorni fa “Una famiglia quasi perfetta” di Jane Shemilt in un tripudio di fascino e delusione allo stesso tempo, un sentimento che di rado provo quando leggo.
Generalmente se un libro non ti piace lo capisci abbastanza in fretta, al contrario se ti prende lo fa da subito, o quasi.
Ma andiamo con ordine: da qui in poi state attenti agli spoiler.

Jenny Malcolm è una dottoressa della mutua, sposata con un neurochirurgo di fama internazionale e tre figli, due maschi gemelli e una femmina, che conducono vite ordinarie. Jenny riesce a conciliare il faticoso ruolo di moglie, madre e dottoressa, sacrificando di volta in volta tempo alla famiglia, ma le pare di riuscire a gestire al meglio tutti i vari problemi. Fino a quando non succede il fattaccio: la figlia Naomi, dopo una rappresentazione teatrale scolastica, non fa ritorno a casa. Da lì il mondo di Jenny si ribalta completamente e vengono a galla tutte le magagne della sua famiglia.
Il libro si sviluppa su due linee temporali distinte, ma intrecciate: quella a ridosso della scomparsa di Naomi e quella di un anno dopo, dove Jenny cerca faticosamente di tornare a vivere e far quadrare i pezzi di quello che è rimasto di lei. È un espediente interessante e d’effetto, perché ti spinge a chiederti sempre più volte cosa è successo veramente e quali segreti nascondono i vari personaggi, quindi ti invoglia sul serio alla lettura. Inoltre la Shemilt è eccezionale a mostrare con perizia il dolore di Jenny. Le pagine sono intrise di angoscia e paura per la sorte di questa figlia dall’aria perfetta e che lentamente si rivela essere completamente diversa da come ci viene presentata. La figura di Jenny ti lascia quasi sopraffatta a causa dei suoi sentimenti, del suo non riuscire ad andare avanti mentre il mondo intorno a lei si muove, è una sensazione quasi claustrofobica che pagina dopo pagina non ti lascia mai.

Inoltre è particolarmente interessante e può dar adito a diverse discussioni, il sottotema su quanto poco ne sappiamo di chi ci sta accanto. Jenny era convinta di avere tutto sotto controllo, di conoscere perfettamente i suoi figli e il marito, di aver trovato un equilibrio per farli crescere secondo i loro ritmi, dando loro spazio di manovra per imparare ad arrangiarsi. Invece si ritrova cornificata dal marito con una infermiera più giovane, un figlio tossico che le ruba i medicinali per farsi e una figlia, che per lei aveva un alone di santità, che beve, fuma, traffica ketamina e rimane incinta a quindici anni. La domanda che si pone spesso è: come ho fatto a non accorgermene? È interessante perché non c’è una vera risposta, lei si scervella e fa quasi pena quando si da le colpe di tutte le scelte sbagliate sue, ma anche di altri. E fa pure rabbia quando cerca di giustificare il marito per il tradimento, come se fosse colpa sua e non di lui.
Insomma, sarebbe un libro da quasi dieci pieno se non fosse che gli ultimi due capitoli rovinano praticamente il tutto.

Essendo una discreta lettrice di gialli e thriller, mi aspetto che al termine della lettura mi vengano spiegate tre cose fondamentali: chi, come e perché. “Una famiglia quasi perfetta” riesce a rispondere a solo due di queste domande, chi e come, ma non mi dice perché Naomi sia scappata senza dire niente a nessuno, lasciando disgregare la sua famiglia e una madre in piena depressione ed angoscia. Quando nelle ultime pagine la povera Jenny la rivede, scoprendo così che è ancora viva e che si è rifatta una vita in un campo rom (anche qui avrei qualche perplessità, ma vabbè), mi aspettavo una motivazione per la quale si era messa in moto tutta la trama. Invece rimane l’idea di Jenny, che è stato l’amore a portarla via. A me continua a sembrare una cavolata, non per l’idea romantica in sé, ma perché a quindici anni, senza soldi e senza contatti, mi sembra un po’ azzardata e debole la scelta di mollare tutto per stare con un ragazzo più grande, anche se lo vuoi aiutare in una presunta vendetta.
Mi sono sentita defraudata di un finale soddisfacente per un libro che mi ha preso tantissimo. Mi sono sentita tradita dalla Shelmit perché non mi ha dato quello che volevo. Provo un senso di vuoto nel non sapere come terminano tutte le sottotrame, tra cui, le più importanti, cosa succede al figlio in riabilitazione, al marito fedifrago, alla figlia idiota e soprattutto a Jenny che lasciamo li, nel fango di quello che è stato un campo di zingari, ora abbandonato.

A voi è mai successo di arrivare alla fine pieni di aspettative e di restare delusi proprio dal finale dell’opera? Come avete reagito?

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